Nella notte tra il martedi e il mercoledi di Pasqua del 1560 (16-17 aprile), mentre non solo i frati, ma l’intero paese era immerso nel sonno, nella chiesa del Convento scoppiò uno spaventoso incendio. Il primo a essere svegliato dal fragore del fuoco fu Fra Angelo Blasi da Urbania, un laico, che subito si precipitò là , verso la chiesa, dove le fiamme erano più vive. Resosi però conto che nulla poteva fare da solo, ritornò in convento a svegliare i confratelli, che accorsero tutti. I più giovani salirono sul tetto per scoperchiarlo, mentre gli altri si dettero da fare, come ognuno poteva. Alcuni dettero mano alle campagne, suonando a distesa, per dare l’allarme. Accorse gente, da ogni parte e, insieme, riuscirono ad abbattere la porta della chiesa e a mettere in salvo quelle poche cose che il fuoco non aveva ancora raggiunto: e tra queste un meraviglioso crocifisso. E poi, amareggiati e delusi per non essere riusciti a fare di più, se ne tornarono a casa. Qualche giorno dopo, quando ormai l’opera distruttrice del fuoco si era conclusa, cominciò lo sgombero delle macerie. Il sabato 27 aprile, il padre guardiano del Convento, chiamò P. Battista da Ascoli (lo stesso che il Sabato Santo, 15 giorni prima, celebrando su quell’altare, aveva consacrato l’Eucarestia e l’aveva riposta nel Tabernacolo) per dargli l’incarico di rimuovere le macerie, di eliminare anche le parti diventate pericolose, di ripulire il tutto, con la massima cura, per tentare di ricostruire un altro altare, magari provvisorio, e di farsi aiutare da qualche confratello. Il P. Battista cominciò il lavoro e mentre era intento, con l’aiuto di un altro frate, a togliere un grosso frammento di marmo, (per riuscirci meglio era salito sopra l’altare), quale non fu la sua meraviglia, quando, tolto il pezzo di marmo, guardando in basso, vide, nella cavità del muro che si era creata, l’Ostia Sacra. Avvicinatosi di più, guardò meglio, e vide che della tela di lino, che copriva l’altare, era rimasto solo qualche frammento, e che anche il corporale, che vi stava sopra, era un po’ bruciato ai lati, mentre l’Ostia Sacra, che stava appoggiata sopra di esso, seppure coperta in qualche punto da un po’ di cenere, era completamente intatta e illesa. Preso da un sentimento che stava tra lo stupore e lo spavento, cadendo in lacrime, gridò “al miracolo”! Nella bolla “Sacrosanta Romana Ecelesia…” che Pio IV emise a conclusione del processo, per affermare solennemente che si trattava di un evento miracoloso, là dove parla del momento della scoperta dell’Ostia, cosଠdice: ” … Sacram Hostiam super corporali, et fragmento panni linei combusti iacentem modico cincre conspersam, alique illaesam…- vidit ac magno stupore perterritus, et Dei miscricordiam profusis lacrymis implorans, miraculum esclamavit… … vide l’Ostia Sacra sopra il corporale, che giaceva sopra un frammento di panno di lino, coperta da un po’ di cenere, completamente illesa… e spaventato dal grande stupore, e implorando con tante lacrime la misericordia di Dio, gridò al miracolo…” Prima il suo compagno di lavoro, poi tutti gli altri religiosi presenti nel convento, ed anche le persone del paese, o quelli accorsi da ogni parte, alla notizia dell’avvenimento “… adoraverunt, magnaque animi devotione et religione, Omnipotenti Deo, gratia egerunt”. “l’adorarono e con grande devozione dell’animo e religiosità , resero grazie a Dio Onnipotente”. La notizia dell’accaduto giunse fino al Papa, il quale “costantemente vigile perchਠnon si creda mai a falsi miracoli” e “sommamente desideroso della purezza della religione cristiana”, ma anche “impegnato a sostenere con ogni mezzo e con tutta la sua forza i decreti sull’Eucarestia” che erano stati emessi dal Concilio di Trento una decina di anni prima (1451) e quelli che lo stesso Pio IV avrebbe emesso poco dopo il “fatto” di Morrovalle, incaricò Mons. Lodovico Vannino da Forlà¬, Vescovo di Bertinoro, di recarsi ad effettuare un’accurata indagine sul posto per accertare la verità del fatto e di riferirgli fedelmente ogni cosa”. Il Vescovo Ludovico venne a Morrovalle e tra il-16 e 20 maggio istruଠil processo, alla presenza dei notai Bartoli di Apiro e Orsi di Macerata, chiamando a deporre tutti i religiosi del convento, dal padre guardiano e fino al sagrestano. E poi, tutte le persone altolocate dei Comune e le Autorità che avevano avuto modo di vedere l’Ostia Consacrata, rimasta illesa sopra il corporale; che avevano trovato “argento di calice fuso” e “certi frammenti di tabernacolo” e tanti altri oggetti “arsi et abbrusati”… La relazione che il Vescovo di Bertinoro gli consegnò personalmente, il Papa Pio IV la fece esaminare da una commissione di ben “cinque” cardinali (Rodolfo Carpense, Vescovo di Porto, Giovanni Michele Saraceni, di S. Anastasia, Giacomo Pozzi di S. Maria, Giovanni BQtttista Cicade di S. Clemente e Clemente della Basilica di S. M. di Araceli). Questi, visti tutti gli atti del processo, acquisita ogni altra informazione su quanto era accaduto, si espressero unanimemente sulla miracolosa straordinarietà del fatto. Solo allora il papa decretò con la sua “Bolla” “SANCTAM ROMANAM ECCLESIAM” che ciò che era accaduto a Morrovalle doveva considerarsi VERO MIRACOLO, concedendo peraltro, in perpetuo l’INDULGENZA PLENARIA a tutti coloro che nel l’anniversario dell’incendio (17 aprile) e del rinvenimento dell’Ostia (27 aprile) avessero visitato la Chiesa dei Frati..